Poesia americana e poesia negra (Studia, Laura!)

Poesia americana e poesia negra. La mia copia. 


Appartengo a una sola categoria ritenuta debole: sono una donna. Per il resto sono nata in occidente, in una famiglia senza difficoltà, acculturata, in una cittadina del centro Italia, ho studiato fino al massimo grado, sono autonoma. Tutto questo mi rende limitata nella comprensione profonda di cosa sia la sopraffazione di nascita, la condanna a priori, l'armatevi e partire per sopravvivere. Anche perché per comprendere non credo basti commuoversi o opporsi per quanto sinceramente, ma bisogna sentire e bisogna essere. Bisogna provare sulla propria pelle, proprio quella pelle che è terreno di battaglia e condanna. 
La storia delle sottomissioni, dei pregiudizi e della supremazia è vecchia e resistente, anche oggi e nonostante l'esistenza in diritto di principi meravigliosi che comportano altrettanto meravigliose libertà, il principio di legalità, della proporzione tra l'offesa e la difesa, il giusto processo, l'istituto dell'abuso di potere, i diritti inviolabili e quelli indisponibili. Il diritto ha gli strumenti, ma le persone non sono il diritto.
Come fare dunque per capire il più possibile? Un'unica via: studiare e mettere sul tavolo i propri sentimenti e magari poi andare a vedere da vicino.
La mia comprensione passa spesso per i libri, ecco perché in questi due giorni mi sono affidata a una raccolta di poesie del 1956: Poesia americana e poesia negra 1949-1953. E' un libro che ha quasi settant'anni, non mi soffermerò sul titolo che probabilmente è figlio del suo tempo, ma andrò dentro, a leggere. Sono inclusi poeti molto famosi, Margaret Walker, Elizabeth Bishop, E.E. Cunningham, Richard Wright, in appendice ci sono poi canti spirituali e laici, ballate e malinconie senza autore, come fossero di tutti. Il testo inglese è a fronte.
Di Richard Wright c'è un breve poema intitolato Ho visto mani nere, in cui racconta la vita di un uomo nero, la nascita, la prima infanzia, la crescita, il lavoro, la violenza, la prigione, la lotta, tutto passa per le mani. Wright (1908-1960) ha vissuto la sua giovinezza con l'obiettivo di scappare al nord dal profondo sud in cui era nato, e ha raccontato la dimensione dell'essere nero partendo proprio dal suo significato, dal dato dell'impossibilità di dissimulare il colore della pelle. Essere nero ha una portata più ampia, diventa addirittura una condizione psicologica che genera violenza verso i bianchi, spesso sopraffattori, e verso le persone della propria comunità, lasciando l'essere umano traballare tra la colpa di non poter essere diversi, la violenza, la paura, la rabbia. 
In Ho visto mani nere, Wright chiude così:

Sono negro e ho visto mani nere
Levate a pugno in segno di rivolta, accanto ai pugni bianchi dei lavoratori bianchi,
E un giorno - e solo questo m'incoraggia a vivere - 
Un giorno ve ne saranno milioni e milioni,
Un giorno scarlatto in uno scoppio di pugna serrate davanti a un orizzonte nuovo!

Leggendo questo guardo le foto di Minneapolis, con una tristezza infinita. 

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