Amiche mie. Silvia Ballestra.

Amiche mie. Silvia Ballestra.
Mondadori.
Un romanzo femminile con la caratteristica di riuscire a parlare anche di persone senza descrizione cromosomica. Questa è la mia impressione ridotta all'osso.
"Amiche mie" è un libro vestito da libro da donne, con la tazza in copertina, la quarta di un fuxia intenso e il titolo che evoca una goliardia che con le donne non ha nulla a che fare, è come lupo Ezechiele mascherato da nonna, perché fuori c'è la dimensione leziosa cui facilmente si riduce una sensibilità e, dentro ci sono la rabbia e la reazione che dovrebbero essere diffuse, capillari, intersessuali e intergenerazionali.
Quattro donne che vivono la vita che capita a tutti, fatta di una scuola che non si prende cura dei nostri figli come vorremmo, e questa volta non per una, spesso presunta, incompetenza degli insegnanti, ma per la cattiva qualità del cibo somministrato alla mensa.  Una vita di matrimoni in bilico come lo sono le persone, tutte, anche quelle più solide, perché il vento è forte fuori dove si vive e basta poco, davvero poco, per non sentirsi più molto sicuri. Un filo teso tra paure per il futuro, inadeguatezza non solo a ciò che deriva dai genitori, ma anche verso i figli, e uno spaesamento, il più frustrante credo, nato dai sensi colpa, o dalla paura di averne. "Amiche mie" è un libro di attualità, che descrive un sentire comune con l'espediente di caratterizzare le quattro protagoniste ciascuna con un aspetto di contemporanea irrequietezza e difficoltà. C'è la società di oggi, un ambiente sgranato nelle sue libertà e negli estremi cui è arrivato. Non è un libro da donne. E' un libro di donne, ma da persone ed è quasi senza finale, c'è solo la vita che andrà avanti e forse alla stessa maniera, come spesso succede quando in fondo a un periodo chiuso in un tempo limitato, in questo caso un anno scolastico, ci si chiede cosa sia davvero successo.
Le ambientazioni sono molto caratterizzate e sembra di vedere quella scuola, la riunione con i capi dell'azienda che fornisce il cibo alla mensa, la casa delle vacanze che se ne va alla deriva sotto il peso degli anni, della stanchezza e delle risorse limitate, il bar dove si intrecciano e si osservano le vite proprie e degli altri e la cena a portar via che resta lì, perché ad andare via è la vita.
Stile rapido, ma non superficiale, con la capacità da una parte di far ridere, nei passi di descrizione dei politici locali, perché sono proprio così, avvolti nei colori pastello e in sciarpe rubate a un'altra cultura, intenti a dire che va tutto alla grande e, dall'altra capace di far montare un sentimento d'ansia per l'incontro diretto con le paure degli adulti.
La domanda che ci si pone alla fine è quale sia la protagonista che sia più vicina al sentire del lettore, della lettrice forse se non si vuole superare questa categoria del genere, e devo dire che non ho capito chi mi sia vicina, chi mi sia simpatica, ma ho trovato una scena che per me vale tutto il libro. Sofia che ricorda quando la sera attraversa la strada sotto casa, con una busta di pane e latte, per la cena prima e il risveglio poi, attenta al passaggio delle macchine e assorta in un momento quotidiano e banale, ma che lascia alcuni attimi di individualità, forse di stanchezza, ma ciò che mi viene in mente è la perseveranza, la tenacia, la voglia di ogni sera di arrivare a domani.
Un libro amaro, ma con ironia e che sembra sostenuto dalla voglia di dire che molto qui non va.
La copertina, la quarta e il titolo, non aprono al racconto che contengono, bensì lo limitano, lo costringono all'immaginario di una femminilità ridotta a problemi di cuore e di figli e alla superficialità con cui sono vissute "le cose da donne", come puerili occupazioni di chi in fondo troppi pensieri non ha.
Dato che l'abito spesso fa il monaco sarei stata tratta in inganno.

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