Alle cinque con Nadia Terranova

Credits: https://nadiaterranova.com


Alle cinque si prende il tè. E Alle cinque è il nuovo nome della pagina che raccoglie le interviste a chi lavora con e per i libri. Ricordando che Il tè tostato è casa mia Alle cinque scambio quattro chiacchiere con degli ospiti graditi, oggi è Nadia Terranova a rispondere alle domande dell'ora del tè. 
Sto seguendo con attenzione il lavoro di Nadia, riprendendo i suoi libri, per esempio ho riletto Gli anni al contrario (Einaudi), ho ascoltato alcuni suoi interventi disponibili su YouTube, ho cercato di comporre nella mia testa il suo lavoro, finché non è stato evidente che farle qualche domanda è il modo migliore per capire e per conoscerla meglio. Una scrittrice per bimbi e per adulti, una persona che lavora con passione, che racconta storie e divulga cultura, una lettrice.


Per lavoro ti occupi di cultura, della sua produzione e della sua divulgazione, o almeno così ti vedo io, e mi chiedo, ma come si fa? Da dove si parte? Cosa vuol dire fare cultura in Italia oggi? 
Per me significa trovare la forza, più di un giorno a settimana, di andare contro la mia forza di gravità, quella che mi inchioda alla poltrona viola a scrivere e leggere e non fare nient’altro, nel mio studio, fra i miei libri e con i miei file aperti sul desktop, di contrastarla proprio e uscire di casa per prendere un treno e andare magari in un angolo sperduto del Nord del Sud o del Centro Italia a parlare di libri, e non solo di libri miei, ma anche dei libri degli altri (come i classici che racconto nelle scuole per l’associazione di scrittori/lettori Piccoli Maestri, fondata da Elena Stancanelli; oppure a presentare i romanzi degli altri scrittori viventi che ritengo validi, oppure ancora a tenere conferenze e corsi di scrittura e di lettura). Ecco, per me girare, stare fuori casa anche quando mi pesa, incontrare persone sconosciute andando un po’ contro la mia natura misantropa, togliere tempo alla scrittura, oggi significa fare un pezzettino di cultura e riacquistare quel tempo in una forma accresciuta (anche per la scrittura). E poi schierarsi, manifestare le proprie idee, assumere rischi, che vuol dire per esempio che se io scrivo un libro per ragazzi e dentro ci metto anche una storia di amore omosessuale so che alcuni genitori avranno da ridire, e alcuni insegnanti non lo adotteranno, ma lo faccio lo stesso, e se mi dicono che qualche ragazzino ha avuto dei problemi per via dei suoi genitori, io cerco di parlare direttamente con lui. È cultura questa? Per me sì, perché la cultura è politica e letteratura e arte, insieme. Lo è se intervisto il sindaco anarchico di Messina, la mia città di origine, per la rivista “Gli asini” di Goffredo Fofi, ma pure se presento un silent book che racconta la storia di un coccodrillo che di giorno si veste da coccodrillo per lavorare allo zoo ai bambini piccolini un venerdì pomeriggio insieme all’illustratrice Mariachiara Di Giorgio, che l’ha ideato (il libro si intitola “Professione coccodrillo” ed è pubblicato da Topipittori). 

Tu scrivi sia per l’infanzia che per gli adulti: l’accoglienza con cui lavori per l’infanzia e i bambini da una parte e il tuo linguaggio netto, su twitter per esempio, e l’attenzione all’attualità dall’altra, sembra tutto molto completo e calibrato, come riesci a saltare da un mondo all’altro? 
È una cosa bellissima questa che mi dici. La verità è che non lo so. Io dalla scrittura ho imparato la schiettezza, perché per natura sarei una che gira intorno alle cose, che ha paura di nominarle. Poi però mi siedo e le nomino, le scavo fino in fondo, le rigiro e le rivolto. E così facendo sono diventata più brava pure nella vita a essere diretta e a non avere paura, nessuna paura, perché nella scrittura non puoi mentire e di conseguenza nella vita neppure. E non faccio nessuna differenza se sto parlando a una persona di sei anni o a una di sessanta, non esiste per me rimodularmi: sono tutti esseri viventi.

Qualche settimana fa ho letto un tuo pezzo su Ilfoglio.it La domanda più scema: E tu, figli? è un pezzo intimo e quando uno scrittore racconta di sé il lettore, forse purtroppo, si sente in diritto di chiedere e riflettere sulla vita degli altri, e l’ho fatto anche io e ho pensato questa donna che sceglie di non avere figli dedica ai bambini tante delle sue energie e risorse, perché? Te lo posso chiedere ora? Perché?
Quel pezzo ha girato tantissimo, evidentemente ha toccato qualcosa di profondo perché non l’hanno condiviso solo le donne senza figli, come avrei pensato, ma anche donne con figli e tantissimi uomini, tutti dicendo di essercisi ritrovati. Quindi forse la corda più profonda che ha toccato è: nessuno sa nulla della vita degli altri, procediamo per ipotesi nei casi migliori, per pettegolezzi nei peggiori. L’arte, la poesia, la letteratura sono superiori: possiamo inventare con cognizione di causa, senza offendere nessuno. Venendo alla tua domanda: io non ho figli perché non ho mai ritenuto il mio corpo davvero disponibile alla trasformazione né la mia vita adatta a caricarsi del peso della vita di un altro, ma i bambini mi piacciono, nella misura in cui mi piacciono gli esseri umani, ovvero non tutti e non indiscriminatamente. Non mi piace la mitizzazione dell’infanzia, né la sua riduzione a vezzeggiativo. Mi piace invece molto avere lettori freschi, intelligenti, che mi stupiscono. Oltre che per adulti scrivo anche per bambini perché dentro di me vive anche una Nadia bambina, insieme a tutte le altre età della vita. Lei a volte ha otto anni, a volte undici, a volte tredici, e non capisce perché deve stare zitta tutto il giorno e far finta di essere adulta, è così stancante! Così a volte per premiarla la faccio scrivere: mettendo a disposizione di una ragazzina uno strumento adulto. Insomma, dentro di me c’è un condominio di Nadie, devo dar posto a tutte loro.

A mio figlio vengono proposti libri di ogni tipo, nove volte su dieci mi guarda e mi dice mamma posso prima giocare un po’ a calcio? E io dico sì, gioca a calcio, ma poi penso di stare trascurando la sua formazione. Il limite è sottile, quando scrivi per i bambini, pensi a chi proporrà loro la lettura del tuo libro?
Pochissimo. Penso direttamente a loro e parlo direttamente a loro, anche se ovviamente so che questo rapport è mediato. Però è pure giusto così, che si viva, si giochi a calcio, ci si innamori… se non lo si fa a quell’età, quando? Poi si cresce e si racconta nei libri tutto quello che si è vissuto.

Le librerie hanno reparti per bambini talmente pieni che confondono, perché non è che tutti siano esperti, letterati, curiosi o abbiano strumenti per orientarsi, molti hanno solo l’istinto di voler offrire qualcosa di buono ai propri figli, così almeno è capitato a me, quali sono i titoli che proporresti a un bimbo abbastanza autonomo da leggere e capire da solo?
Se penso ai titoli per la prima infanzia, oggi farei un pacco con: Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak, Una splendida notte stellata di Jimmy Liao, Linee di Suzy Lee, Professione coccodrillo di cui parlavamo prima, e naturalmente le immancabili meravigliose Fiabe italiane di Italo Calvino.

Venendo al mondo degli adulti, ultimamente ti sto incontrando molto, gli articoli, i racconti, ritrovo spesso la tua voce, social compresi, ed è una una voce composita che sembra avere molte sfumature, ma assolutamente inclusiva e coinvolgente. Sembra tu stia lavorando tanto, troveremo un tuo nuovo romanzo in libreria?
Sì, a ottobre uscirà un mio nuovo romanzo sempre per Einaudi Stile Libero. Ho finito la prima stesura e sono nella fase più fertile e delicata, quella del lavoro sul testo. Io credo tantissimo nelle riscritture, il lavoro vero per me è adesso.

Su Instagram posti spesso foto di libri, passi, pezzi di Roma o di città che visiti, offri il tuo angolo visuale, le stesse cronache dalla poltrona viola raccontano di te con un hashtag tutto tuo, che rapporto hai con i social?
A volte ho la tentazione di cancellarmi da tutto. Poi mi dico che sono finestre: quando ho voglia le apro e in effetti mi diverto a inventarmi qualcosa di creativo, quando mi stanco le tengo chiuse, proprio ben sprangate. Ultimamente ho dato una svecchiata al blog, vorrei riprendere a usarlo, mi piace anche l’idea che sia un po’ vintage, mi devo inventare qualcosa di nuovo anche per lui.

A proposito di web ho appena visto una tua foto Libri come con Elena Stancanelli per il tuo impegno nel progetto La frontiera, ti va di raccontare cos’è?
Il 26 novembre 2017 è morto Alessandro Leogrande, intellettuale rigorosissimo e scrittore di reportage civili e letterari. Aveva quarant’anni ed è stata una morte improvvisa. È stato ed è terribile accettarlo, io ancora non ci riesco. Il dolore personale è incolmabile e non si lenisce, ma qualcosa si può fare: far muovere lui, i suoi libri, le sue idee. Alessandro ed Elena avevano avuto insieme l’idea di creare dei tavoli migranti sulle migrazioni, cioè dei tavoli di discussione di lettori, scrittori, persone comuni, con esperti di vari ambiti confrontandosi sul tema delle frontiere. “La frontiera” è anche il titolo dell’ultimo libro di Alessandro, così dopo la sua morte è diventato il nome del progetto. È doloroso, ma meno del silenzio.

Prima hai consigliato tre titoli per un piccolo lettore, cosa proporresti invece ai loro genitori? Da lettrice a lettori, quali sono i libri che dici questo proprio non puoi non leggerlo?
Dico un libro strano: “L’isola riflessa” di Fabrizia Ramondino, un lungo racconto ambientato a Ventotene e pubblicato da Einaudi, una prima persona dolorosa e coraggiosa. E un libro complesso: “Eccomi” di Jonathan Safran Foer, perché è un romanzo contemporaneo e totemico. Poi non si può prescindere da Natalia Ginzburg, “Caro Michele” ma anche e soprattutto gli articoli raccolti in “Mai devi domandarmi” e “Vita immaginaria”. Io almeno non ci riesco.


Grazie mille, Nadia.

Commenti

Post più popolari