Silvia Ballestra e le domande che non le ho fatto

Silvia Ballestra è la prima autrice che si è lasciata coinvolgere dal gruppo di lettura @TwoReaders. E' anche la prima scrittrice alla quale ho chiesto di poter fare qualche domanda di presentazione del libro scelto per @TwoReaders, e l'ho fatto spinta dalla crescita del gruppo per cercare di dare qualcosa in più rispetto a una buona idea, come segno di gratitudine per la passione e l'assiduità dei lettori.
Ho contattato Silvia Ballestra via mail, lei gentilmente ha acconsentito e le ho inviato otto domande, che ho creduto potessero essere utili per presentare un po' sia lei che Amiche mie. Non avevo ancora iniziato il romanzo chiaramente, quindi ho cercato di porre le questioni che mi vengono in mente quando mi avvicino a un libro che non conosco, curiosità sull'autore, i quesiti che vengono fuori dal titolo e dalla bandella, idee sconnesse di chi è lettore e parla di libri per passione e non per lavoro.
Ieri leggendo quelle risposte ho capito che non avevo capito, o meglio ho capito che chiedere può essere un pozzo senza fine se si è curiosi e, ogni risposta di Silvia Ballestra mi ha fatto venire in mente un'altra domanda e mi sono sentita piccola, chissà cosa avrà pensato leggendo domande del genere. Le sue risposte hanno aperto un dialogo personale che ora, dentro di me, stento a chiudere, perché le parole di un autore che racconta il suo libro sono un panorama su tanto dell'essere scrittore e sulla storia raccontata.
Silvia Ballestra è una persona estremamente gentile e la ringrazio di essere stata così disponibile e di aver accettato il tentativo sbilenco di una lettrice, di veicolare un suo romanzo.
Di seguito ciò che le ho chiesto e come lei ha risposto.

Hai iniziato a scrivere e pubblicare molto giovane, qual è stato il momento, se c'è stato, in cui hai detto "sono una scrittrice"?
Una decina di anni dopo l'esordio, direi. Forse con la pubblicazione del romanzo “Nina”, che è un libro a cui tengo molto. In quel momento c'è stata una congiuntura di diversi fattori: mi ero laureata un paio d'anni prima - molto fuoricorso perché nel frattempo scrivevo, avevo avuto il primo figlio, mi era più chiaro che quello poteva essere un lavoro (era quello che forniva il mio imponibile). Ricordo che rinnovando la carta d'identità alla voce professione feci mettere “scrittrice” sapendo che sarei andata incontro a domande e risatine varie o, al contrario, curiosità e stupori. Oggi forse non lo farei più, non sono più così convinta dell'aspetto “professionale” (anche perché è andato un po' tutto in crisi). In più, naturalmente, c'era una consapevolezza diversa da parte mia, legata proprio a quel libro. Ah, era anche il libro con cui iniziavo un rapporto nuovo con una grande casa editrice (la Rizzoli, con cui ho pubblicato per undici anni).

Come pensi sia cambiato il tuo stile di scrittura? E' solo maturato insieme a te, o credi sia proprio diverso?
Non so, dipende molto dalle storie che via via racconto. La voce è ovviamente sempre quella ma credo che ogni libro sia sostanzialmente diverso. La lingua cambia a seconda dell'approccio, dell'ambientazione (il dialetto, l'oralità). Ogni tanto mi prendo dei lussi dicendomi “vabbè, me lo posso permettere, l'ho già fatto, lo posso fare”. Altre cose, mi rendo conto, oggi non le direi più in quel modo, ma non è un cambiamento mio: è un cambiamento generale di sensibilità su certi argomenti. Nel frattempo ho sperimentato anche diversi metodi di lavoro (per esempio per alcuni libri ho fatto delle ricerche, mi sono documentata, ho intervistato delle persone a lungo). Per altri si lavora di memoria, occasioni.

In un percorso lungo e ricco come è il tuo in che fase è arrivato Amiche mie?
In una fase di grossa incazzatura. Credo che si senta. Questo non significa che risulti un libro pesante (a mio avviso, eh): si trae soddisfazione e gusto anche dal litigare, certe volte. Ma poi dipende anche da chi legge. Alcuni mi dicono che non manca una certa leggerezza, altri che è cupo. Ma i personaggi sono quattro, diversi, e quindi gioca su più toni.

Un romanzo in cui protagoniste sono quattro donne di quarant'anni, come è nata la storia?
Nasce un po' dalla mia vita di questi anni (ho due figli, uno alle elementari uno al liceo) e anche dalle cose che mi andava di raccontare, su cui volevo continuare a riflettere. Negli ultimi anni ho scritto molto sulle donne, dal pamphlet “Contro le donne nei secoli dei secoli” a “Piove sul nostro amore” più vari interventi sui giornali, poi ho lavorato ai testi del film di Alina Marazzi “Vogliamo anche le rose” (erano tratti da diari di donne) e mi sono accorta che si tratta di argomenti e tematiche molto interessanti ma anche che in Italia si fa una fatica incredibile a parlare - far parlare - di certe cose che vengono spesso liquidate come “lagne" un po' polverose e superate.

Ci sono state ricerche particolari che hanno portato alla conoscenza delle donne di cui parli? C'è un po' di te in ogni personaggio?
No, questo è uno di quei libri in cui ci si affida solo all'esperienza diretta, in presa diretta, come si dice. Ho prestato varie cose mie a ognuna di loro ma è tutto mescolato. Il personaggio in cui mi riconosco di più comunque è il primo (infatti l'ho chiamata Sofia: un nome breve che comincia con S).


Qual è il ruolo dell'ambiente in cui si svolge il romanzo?
Si tratta di genitori fuori da una scuola: è un libro molto milanese ma i genitori che fanno amicizia in base alle frequentazioni dei figli ci sono ovunque! Poi il tentativo era anche quello di raccontare l'Italia di questi anni, le famiglie del nostro tempo, la crisi, il lavoro, le relazioni.


Che uomini sono quelli che si muovono nelle vite di Norma, Carla, Sofia e Vera?
Eh, gli uomini questa volta li ho messi un po' sullo sfondo, con la volontà precisa di concentrarmi sulle donne, sui loro discorsi, sul loro punto di vista. La loro "versione". Mi rendo conto che si tratta di una "domanda dovuta" - viste le premesse un po' militanti del testo, dichiaratamente schierato negli intenti - però a tanti scrittori uomini non si chiede conto delle donne nei loro libri... Questa è una mia piccola provocazione, un invito a provare a ribaltare le situazioni, ogni tanto.

Qual è il tuo rapporto con i lettori dei tuoi libri?
Il rapporto con i lettori è stato finora limitato alle occasioni pubbliche (presentazioni di libri, convegni, giri nelle scuole), quindi da valutare ogni volta a seconda delle occasioni (nelle scuole per esempio il libro viene proposto "dall'alto" quindi non sai mai come possa essere recepito). Certo, ora con i social network si apre un nuovo modo, interessante, di osservare "in diretta"  reazioni, umori, conseguenze (aiuto!!!) di quello che si è fatto. Prima c'erano solo le letture della critica, dei recensori, quindi tecniche. Ora a queste se ne aggiungono altre che possono essere altrettanto interessanti.

Ancora grazie.

Commenti

  1. Grazie Laura per questo contributo in più alla twittlettura.

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  2. Bella questa intervista. Mi ha incuriosito l'autrice e suoi libri.

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